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Aus der Zeitschriftforumpoenale 2/2020 | p. 81–81Es folgt Seite №81

Homo migrans e diritto penale

«Homo migrans. Due milioni di anni sulla strada», questo il titolo di una bella mostra attualmente visitabile al Museo storico di Berna, incentrata sul fenomeno migratorio come costante nella storia della nostra specie. Invece di homo sapiens si dovrebbe parlare, secondo i curatori della mostra, di homo migrans. Se questo è il dato antropologico, è ovvio come una ragionevole governance del fenomeno difficilmente possa ridursi ad una sua pura e semplice criminalizzazione, per di più con il rischio di spingere il migrante illegale nei circuiti della vera criminalità, andando così ancor di più ad alimentare il senso di insicurezza della popolazione di fronte allo stesso fenomeno migratorio. L’inadeguatezza dello strumento penale diventa ancora più palese di fronte al cosiddetto «reato di solidarietà», effetto collaterale di una riforma del diritto penale degli stranieri volta a combattere il traffico illegale di esseri umani (così esplicitamente FF 2002 3327, 3447), ma non certo a denigrare il valore dell’altruismo, fortunatamente connaturato alla nostra specie (v. adesso Richard Wrangham, Il paradosso della bontà. La strana relazione tra convivenza e violenza nell’evoluzione umana, 2019) non meno dell’istinto migratorio: il reato di omissione di soccorso ex art. 128 CP né è in fondo la riprova. Bene riconobbe il problema, non senza scalpore, un importante magistrato penale ticinese del secolo scorso, il giudice Mario Luvini (1939–2002) nelle motivazioni di un suo storico decreto d’abbandono del 20 dicembre 1974, riguardante tra gli altri il pastore valdese Guido Rivoir (1901–2005), inizialmente indagato per avere aiutato ad entrare illegalmente in Svizzera centinaia di cileni in fuga dal sanguinario regime di Pinochet: «l’intento di portare concreto soccorso ai profughi perseguitati e alle loro famiglie appare manifestamente onorevole anche [non solo dunque in applicazione dell’art. 23 n. 2 della LDDS allora in vigore, che diversamente dall’attuale art. 116 LStrI prevedeva l’impunibilità se chi presta aiuto era spinto da motivi rispettabili] alla luce dello spirito della legislazione e delle tradizioni svizzere in questa materia» (consid. 8/b pag. 23). Parole sulle quali, ancora oggi, vale la pena di riflettere.

Homo migrans und Strafrecht

«Homo migrans. Zwei Millionen Jahre unterwegs», so lautet der Titel einer schönen Ausstellung, die derzeit im Historischen Museum Bern zu sehen ist und die das Phänomen der Migration als eine Konstante in der Geschichte unserer Spezies in den Mittelpunkt stellt. Statt von Homo sapiens, so die Kuratoren der Ausstellung, sollte man von Homo migrans sprechen. Ist dies der anthropologische Ausgangspunkt, so wird offensichtlich, dass eine vernünftige Governance des Phänomens kaum auf seine Kriminalisierung reduziert werden kann. Dies zudem mit dem Risiko, den illegalen Migranten einfach in die Kreisläufe der echten Kriminalität zu drängen und somit das Unsicherheitsgefühl der Bevölkerung zusätzlich zu nähren. Die Unzulänglichkeit des strafrechtlichen Instrumentariums wird noch deutlicher beim sogenannten «Delikt der Solidarität», Nebenwirkung einer Reform des Ausländerrechts, die darauf abzielte, die Schlepperkriminalität zu bekämpfen (so ausdrücklich BBl 2002 3709, 3833), aber sicherlich nicht, den Wert des Altruismus zu verunglimpfen, der glücklicherweise unserer Spezies nicht weniger als der Wandertrieb innewohnt (vgl. jetzt Richard Wrangham, The Goodness Paradox: The Strange Relationship Between Virtue and Violence in Human Evolution, 2019). Der Straftatbestand der Unterlassung der Nothilfe gemäss Art. 128 StGB ist schlussendlich eine seiner Erscheinungsformen. Die Problematik wurde gut erkannt, nicht ohne Aufsehen, von einem der berühmtesten Tessiner Kriminalrichter des letzten Jahrhunderts, Mario Luvini (1939–2002), in der Begründung seiner Einstellungsverfügung vom 20. Dezember 1974. Der waldensische Pfarrer Guido Rivoir (1901–2005) wurde beschuldigt, Hunderten von Chilenen auf der Flucht vor dem blutigen Regime von Pinochet geholfen zu haben, illegal in die Schweiz einzureisen: «Die Absicht, den verfolgten Flüchtlingen und ihren Familien konkrete Hilfe zu bringen, erscheint auch im Lichte des Geistes der schweizerischen Gesetzgebung und unserer einschlägigen Traditionen [d.h. nicht nur gemäss dem damaligen Art. 23 Abs. 2 ANAG, welcher anders als der heutige Art. 116 AIG die Straflosigkeit vorsah, soweit die Hilfe aus achtenswerten Beweggründen geleistet wurde] eindeutig ehrenhaft» (E. 8/b S. 23). Worte, über die es sich auch heute noch lohnt nachzudenken.